La «Buona stoffa» non è solo quella delle magliette

T-shirt blu scuro, con davanti la scritta «Mi pare che ci sia buona stoffa». Sudate e maleodoranti, la «buona stoffa» di cui parlano quelle magliette non è la loro, ma quella che rivestono: è la vita dei 132 adolescenti e giovani che hanno vissuto una settimana di campo-pellegrinaggio in quel di Torino, sui passi di don Bosco e di tanti altri «santi sociali».

Proprio quel don Bosco secondo cui «in ognuno di questi ragazzi v’è un punto accessibile al bene» è stato il principale protagonista di questa sei-giorni. I ragazzi sono arrivati nella città sabauda lunedì 29 luglio, accolti dalla parrocchia di San Giuseppe Cafasso. Guarda caso, proprio uno dei santi sociali torinesi. Zona popolare, fin da subito i partecipanti sono entrati in contatto con la freschezza di una chiesa di frontiera che non ha paura a rivestire il ruolo di sorgente di vita anche nelle periferie (esistenziali) del mondo.

Il proramma serrato si è sviluppato tra catechesi relazionali («Siamo un atelier per il Signore»), introspettive («Ho buona stoffa?»), proiettive («L’abito del Signore» e «La formula della santità»), non senza provare a capire – a livello personale – quali siano «I fili della mia stoffa», scegliendo di sperimentarsi in uno tra diversi ambiti della vita sociale e civile seguendo l’esempio dei santi sociali.

Particolarmente intense sono state la visita all’oratorio salesiano di Valdocco – fondato dallo stesso don Bosco – e la precedente visita al minuscolo oratorio di San Francesco, dove il Santo dei giovani iniziò la sua opera educativa. Sempre riguardo a don Bosco, molti dei partecipanti sono rimasti piacevolmente colpiti dal cammino tra Mondonio, Morialdo – paesi di San Domenico Savio – e Colle don Bosco, dove nacque e crebbe il santo.

«Buona stoffa» è anche tessere un abito di carità e di missionarietà, come è stato sperimentato al Sermig di Torino. L’incontro con il fondatore, Ernesto Olivero, è stata la ciliegina sulla torta di un pomeriggio alla scoperta del servizio, della gratuità e del Bene. Il tutto partendo da nulla di diverso se non la volontà di compierlo, quel Bene.

«Buona stoffa» è, inoltre, quel telo di lino conservato nel duomo torinese, lo stesso lenzuolo che avvolse il corpo di un uomo crocifisso nel medio-oriente di venti secoli fa. Forse era proprio quel Crocifisso, Gesù. La scienza non potrà mai affermarlo con certezza, ma resta il fatto che si tratta di una reliquia capace di richiamare l’Amore più grande possibile, quello insegnato e vissuto da Cristo, quello che davvero potrebbe donarci un abito di santità cucito con stoffa divina. È lì che vogliamo puntare, laddove hanno volto lo sguardo don Bosco, don Cafasso, Piergiorgio Frassati, il Cottolengo e tutti gli altri santi torinesi e non solo. Rivestìti di carità. Senza quell’abito, non ci sarà Paradiso.

 

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